di MARIA CALVISI

Il forno era molto importante perché il pane giocava un ruolo fondamentare per la sopravvivenza ai miei tempi. All’ora non potevi andare al negozio a comprarlo, come facciamo oggi. Perciò ogni dieci o quindici giorni si andava al forno a farlo. Ovviamente chi ne aveva la possibilità, chi possedeva farina e grano.
Una volta aver ammassato e lievitato, si accendeva il forno con la legna. Si faceva scaldare per due ore di fila con la brace e una volta che avevi finito si cacciava via tutta la brace e si levava la cenere con il “monnero” (una mazza con uno straccio bagnato attaccato).
Quando si faceva cuocere il pane, lo si faceva stare una ora e dopodiché si apriva la porta per far uscire tutto il vapore, dopodiché lo si faceva stare un’altra ora. Doveva cuocere due ore intere e per farlo bisognava utilizzare la legna buona. Si faceva anche la pizza. Chi se lo poteva permettere ci metteva anche olio e pomodori. Ma non solo. A Pasqua spesso si facevano anche i biscotti e altri dolci.

Una volta il forno era veramente necessario a tutte le famiglie. Adesso tutti abbiamo un forno e il pane è diventato quasi un alimento secondario. Prima invece era diverso. Il pane era l’alimento principale e si andava avanti con quello. Lo si abbinava a tanti altri alimenti come le noci, l’uva e l’olio.
Essendo una struttura comunale con lo spazio di massimo venti filoni di pane, tra cittadini ci si metteva d’accordo su quando spettava a ognuno di essi andare a cuocere il proprio pane.
A Picenze ci sono tre forni: uno a San Martino, una a Petogna e uno, patronale, a Villa di Mezzo. Inizialmente quello di San Martino era molto più grande. Ci andavano quaranta filoni di pane. Poi è stato dovuto rimpicciolire e adesso ce ne vanno venti. Ricapitolando, il forno è stato di vitale importanza per noi Picenzari.