di CECILIA CALVISI

Io mi chiamo Cecilia Calvisi e abito a Piazza Palazzo. Mi piace vivere a Picenze, perché è il mio paese. È il posto dove sono nata.
Ai miei tempi si stava bene a Picenze. Andavamo a lavorare in campagna, non avevamo altro. Mamma preparava il pane, lo tagliava in pezzetti e ce lo metteva su un piatto. Non c’era altro.
Vicino a casa mia c’era una signora che chiamavamo “Zia Lunetta” che aveva un piccolo supermercato e vendeva qualsiasi tipo di roba.
Come dicevo, ai miei tempi si andava in campagna e coltivavamo patate, mais, grano e tante altre cose che una volta colte, portavamo a casa con l’asino. Vicino al mulino di San Gregorio avevo due terre e andavo a lavorarle ogni giorno.
Sempre nella piazza di casa mia, c’è un forno che in passato era gestito da un signore che chiamavamo “Zi’ Battista”, una brava persona. Lì ci facevamo il pane.
Quando bisognava mandare le pecore a pascolare, un signore le radunava e le portava al monte. Quando arrivava il momento del rientro, lo facevano da sole. Sapevano dove dovevano andare.
Sul monte mio nonno Pietro aveva una terra, decise di costruirci una piccola grotta per ripararci nel caso piovesse.
Ai miei tempi bisognava stare molto attenti con il cibo. Le quantità erano importanti perché si dovevano spartire bene con i fratelli in quanto il cibo non era molto. I due piatti che si facevano di più erano il minestrone e la polenta. Mamma maggiormente faceva queste due cose. Raramente facevamo un po’ di carne alla padella.
La nostra generazione ha sofferto molto. Ma stavamo tanto bene che Dio solo lo può sapere. Secondo me stavamo meglio prima che adesso. Adesso si lamenta anche la gente, ma in realtà siamo noi che ci dobbiamo lamentare.
Eravamo poveri, ma mamma in qualche modo non ci faceva mancare mai niente. Andava a fare il pane al forno, oppure, siccome prima tutti quanti avevano i maiali, i mei genitori ci facevano salsicce e salami e campavamo di quello.
Quando dovevamo andare all’Aquila a fare la spesa, ci andavamo con l’asino. Ci mettevamo circa un’ora. Caricavamo tutto e dopodiché tornavamo a Picenze.
Quando dovevamo sciacquare i panni, andavamo alla fonte. Portavamo la pretola (tavoletta per lavare i panni) e la bagnarola con i panni sporchi.
Tempo fa ci si sposava molto giovani e i genitori erano contenti che te ne andavi con tuo marito. Già a diciotto anni io ero sposata.
Andavamo a scuola in una stanza a Villa di Mezzo. Veniva la maestra e ci faceva lezione. Solamente che, quando tornavi a casa dovevi andare a pascolare le pecore e il quaderno lo dovevi mettere dentro il cassetto. Non c’era tempo di utilizzarlo.