Il titolo proprio di Santa Maria di Picenze, parrocchiale delle frazioni di Petogna e di Villa di Mezzo, è Santa Maria ab Extra , per differenziarla, si suppone, da Santa Maria di Picenze intra moenia dell’Aquila, parrocchiale degli abitanti di Picenze-S.Maria che nel XIII secolo si inurbarono a fondare la nuova città – questa chiesa intra esiste tuttora, in veste settecentesca, sull’alto della ripida impettata che vi sale da Porta Bazzano. Intriga però il fatto che soltanto quella di Santa Maria di Picenze, fra tutte le chiese della diocesi aquilana che si inurbarono, si definisca extra nell’intitolazione rispetto alla corrispondente chiesa intra . La sua ubicazione del tutto distante dagli abitati e completamente solitaria sulla pendiva di mandorleti, nonché le sue dimensioni di edificio sacro a ben tre navate rispetto al numero di abitanti che essa è deputata a servire – era la sola costruzione sacra a tre navi nel territorio tra Paganica a Barisciano prima della costruzione, fine Settecento ed inizio Ottocento, della grande chiesa di Poggio Picenze – fanno sospettare che essa rimonti ad epoca molto più antica. Sarebbe stata cioè la ‘pieve’ o chiesa battesimale per una popolazione che prima dell’incastellamento dell’XI-XII secolo viveva non accentrata nei tre attuali borghi di Picenze ed in quello medioevale di Poggio Picenze ma in un assetto insediativo diffuso. Di qui l’opinione tradizionale raccolta decenni fa dai più anziani, secondo cui Santa Maria (poi di Picenze) fosse, prima del Mille, la chiesa matrice della zona.
La sua prima menzione storica è la medesima della vicina San Martino: è menzionata per il 1178 nella citata bolla di papa Alessandro III – Ecclesiam S. Marie de Picentiae cum possessionibus suis – e per il 1313 e 1327 nelle rationes decimarum diocesane del vescovo Filippo Delci. È di questo lasso cronologico la nota pregevolissima Madonna con Bambino duecentesca in legno intagliato e dipinto in policromia, oggi al Museo Nazionale d’Abruzzo.
L’articolata volumetria a capanna spezzata della chiesa, emergente nel suo agile tiburio ottagonale a cupolino inviluppante la cupola interna, nonché nel suo snello campanile a vela e la facciata barocca, si protende maestosa dalla collina sulla sottostante verde valle dell’Aterno, libera ai lati dal grande sterro eseguito nel 1970-71 e visibile fin da lungi pur nella recente proliferazione abitativa. L’attuale edificio sacro è una ricostruzione compiutamente settecentesca – pressappoco gli anni Venti del ‘700 come il San Martino di Picenze – grazie al contributo della famiglia spagnola dei marchesi Ximenes d’Aragona, succeduti al capitano spagnolo Andrea Bernal al quale Picenze era stato assegnato in feudo dopo la tragedia aquilana del 1529. Sulle spoglie tessiture murarie generali, però, si leggono tuttora chiare testimonianze degli edifici che la precedettero nel tempo: sulla fiancata orientale presso il transetto, un consistente brano di muratura tre-quattrocentesca, a tipico apparecchio di filari quasi regolari di bolognini e con un portale murato in levigata pietra concia a stipiti ed architrave ad arco schiacciato modanati in forma cistercense; il tabernacoletto di crocifisso a cuspide tardo-gotica sull’architrave del portale maggiore, del XV secolo; e sulla fiancata occidentale, la svettante aguzza lastra muraria campanaria in robusta pietra da taglio, terminante a tre fornici e su cui è incisa la data del 1669.
La facciata ha un disegno più unico che raro nell’Aquilano: divisa in tre bande da due coppie di paraste in pietra squadrata su alti basamenti in conci, ha la banda centrale più alta che si collega alle laterali più basse mediante volute a scivolo che in corrispondenza delle sottostanti paraste si riavvolgono in orecchioni sormontati da acroteri. La banda maggiore, a fondo intonacato, si fende in un portale in pietra e, in alto, in un cospicuo finestrone pure in pietra; il portale, incompiuto ma ancora chiuso da grandi infissi lignei intagliati a lacunari, ha gli stipiti sagomati da paraste a volute angolari e liscio architrave coronato da incavo ellissoidale con al centro il già menzionato tabernacolo tardo-gotico, resto dell’apparato decorativo della chiesa quattrocentesca; il sovrastante finestrone, a mostre sagomate e trabeazione con conchiglia tra frammenti di timpano ricurvi. La facciata termina a cornice lapidea piana perché anch’essa incompiuta, mancando del grande sagomato timpano triangolare o curvilineo che l’avrebbe di certo conchiusa. Due portali minori, a mostre scorniciate alla maniera classica e con quadrotte a volute sulla cornice dell’architrave, si aprono sia sulla fiancata di destra che su quella di sinistra.
L’organismo interno, da piccola cattedrale, si articola, per 30 metri di lunghezza, in un alto vano principale cruciforme, creato dalla consueta armatura dell’ordine architettonico classico ad alte pilastrate corinzie ed arcate, la trabeazione perimetrale sbalzante, le ritmiche campate della volta a botte lunettata e, all’innesto, l’incrocio dei quattro arconi a sostegno della base circolare della calotta cupolare infiorata di ornati in stucco e sfociante nel lanternino di fastigio. Il piedicroce è organizzato in due sequenze longitudinali di tre archeggiature per parte, iniziate e poi conchiuse da intercolumni a guisa di strette campate: quelli d’inizio schermano il parapetto e il castello delle canne, dipinti e indorati, di un organo Fedeli datato 1761 – fu restaurato nel 1975 dalla comunità ed inaugurato con un concerto del grande M° Giuseppe Agostini – e gli intercolumni di conclusione prima del transetto cupolato son partiti in altezza da tribunette lignee a mezz’aria sopra confessionali, opere ad intaglio sempre settecentesco.
Il presbiterio absidale termina a fondo retto, ospitando al centro il grande dossale dell’altare maggiore in pietra mischia e marmi, formato, sopra basamenti ad alti stilobati con mensa e tabernacolo marmoreo, da coppie di colonne composite fiancheggianti il grande riquadro centrale di una tela di Crocifissione e sostenenti una trabeazione sormontata da frammenti di timpano ricurvi. Altresì gli altri otto altari in pietra aggettanti dalle pareti laterali, più grandi i due sulle testate del transetto e più contenuti i sei nelle navate, tre per parte, alcuni più semplici perché ancora seicenteschi ed altri settecenteschi più mossi e con forme neo-borrominiane, si disegnano in dossali a colonne corinzie, alcuni terminanti in edicole fra timpani spezzati, inquadranti incorniciature per tele a svariati soggetti devozionali.
.
Il titolo proprio di Santa Maria di Picenze, parrocchiale delle frazioni di Petogna e di Villa di Mezzo, è Santa Maria ab Extra , per differenziarla, si suppone, da Santa Maria di Picenze intra moenia dell’Aquila, parrocchiale degli abitanti di Picenze-S.Maria che nel XIII secolo si inurbarono a fondare la nuova città – questa chiesa intra esiste tuttora, in veste settecentesca, sull’alto della ripida impettata che vi sale da Porta Bazzano. Intriga però il fatto che soltanto quella di Santa Maria di Picenze, fra tutte le chiese della diocesi aquilana che si inurbarono, si definisca extra nell’intitolazione rispetto alla corrispondente chiesa intra . La sua ubicazione del tutto distante dagli abitati e completamente solitaria sulla pendiva di mandorleti, nonché le sue dimensioni di edificio sacro a ben tre navate rispetto al numero di abitanti che essa è deputata a servire – era la sola costruzione sacra a tre navi nel territorio tra Paganica a Barisciano prima della costruzione, fine Settecento ed inizio Ottocento, della grande chiesa di Poggio Picenze – fanno sospettare che essa rimonti ad epoca molto più antica. Sarebbe stata cioè la ‘pieve’ o chiesa battesimale per una popolazione che prima dell’incastellamento dell’XI-XII secolo viveva non accentrata nei tre attuali borghi di Picenze ed in quello medioevale di Poggio Picenze ma in un assetto insediativo diffuso. Di qui l’opinione tradizionale raccolta decenni fa dai più anziani, secondo cui Santa Maria (poi di Picenze) fosse, prima del Mille, la chiesa matrice della zona.
La sua prima menzione storica è la medesima della vicina San Martino: è menzionata per il 1178 nella citata bolla di papa Alessandro III – Ecclesiam S. Marie de Picentiae cum possessionibus suis – e per il 1313 e 1327 nelle rationes decimarum diocesane del vescovo Filippo Delci. È di questo lasso cronologico la nota pregevolissima Madonna con Bambino duecentesca in legno intagliato e dipinto in policromia, oggi al Museo Nazionale d’Abruzzo.
L’articolata volumetria a capanna spezzata della chiesa, emergente nel suo agile tiburio ottagonale a cupolino inviluppante la cupola interna, nonché nel suo snello campanile a vela e la facciata barocca, si protende maestosa dalla collina sulla sottostante verde valle dell’Aterno, libera ai lati dal grande sterro eseguito nel 1970-71 e visibile fin da lungi pur nella recente proliferazione abitativa. L’attuale edificio sacro è una ricostruzione compiutamente settecentesca – pressappoco gli anni Venti del ‘700 come il San Martino di Picenze – grazie al contributo della famiglia spagnola dei marchesi Ximenes d’Aragona, succeduti al capitano spagnolo Andrea Bernal al quale Picenze era stato assegnato in feudo dopo la tragedia aquilana del 1529. Sulle spoglie tessiture murarie generali, però, si leggono tuttora chiare testimonianze degli edifici che la precedettero nel tempo: sulla fiancata orientale presso il transetto, un consistente brano di muratura tre-quattrocentesca, a tipico apparecchio di filari quasi regolari di bolognini e con un portale murato in levigata pietra concia a stipiti ed architrave ad arco schiacciato modanati in forma cistercense; il tabernacoletto di crocifisso a cuspide tardo-gotica sull’architrave del portale maggiore, del XV secolo; e sulla fiancata occidentale, la svettante aguzza lastra muraria campanaria in robusta pietra da taglio, terminante a tre fornici e su cui è incisa la data del 1669.
La facciata ha un disegno più unico che raro nell’Aquilano: divisa in tre bande da due coppie di paraste in pietra squadrata su alti basamenti in conci, ha la banda centrale più alta che si collega alle laterali più basse mediante volute a scivolo che in corrispondenza delle sottostanti paraste si riavvolgono in orecchioni sormontati da acroteri. La banda maggiore, a fondo intonacato, si fende in un portale in pietra e, in alto, in un cospicuo finestrone pure in pietra; il portale, incompiuto ma ancora chiuso da grandi infissi lignei intagliati a lacunari, ha gli stipiti sagomati da paraste a volute angolari e liscio architrave coronato da incavo ellissoidale con al centro il già menzionato tabernacolo tardo-gotico, resto dell’apparato decorativo della chiesa quattrocentesca; il sovrastante finestrone, a mostre sagomate e trabeazione con conchiglia tra frammenti di timpano ricurvi. La facciata termina a cornice lapidea piana perché anch’essa incompiuta, mancando del grande sagomato timpano triangolare o curvilineo che l’avrebbe di certo conchiusa. Due portali minori, a mostre scorniciate alla maniera classica e con quadrotte a volute sulla cornice dell’architrave, si aprono sia sulla fiancata di destra che su quella di sinistra.
L’organismo interno, da piccola cattedrale, si articola, per 30 metri di lunghezza, in un alto vano principale cruciforme, creato dalla consueta armatura dell’ordine architettonico classico ad alte pilastrate corinzie ed arcate, la trabeazione perimetrale sbalzante, le ritmiche campate della volta a botte lunettata e, all’innesto, l’incrocio dei quattro arconi a sostegno della base circolare della calotta cupolare infiorata di ornati in stucco e sfociante nel lanternino di fastigio. Il piedicroce è organizzato in due sequenze longitudinali di tre archeggiature per parte, iniziate e poi conchiuse da intercolumni a guisa di strette campate: quelli d’inizio schermano il parapetto e il castello delle canne, dipinti e indorati, di un organo Fedeli datato 1761 – fu restaurato nel 1975 dalla comunità ed inaugurato con un concerto del grande M° Giuseppe Agostini – e gli intercolumni di conclusione prima del transetto cupolato son partiti in altezza da tribunette lignee a mezz’aria sopra confessionali, opere ad intaglio sempre settecentesco.
Il presbiterio absidale termina a fondo retto, ospitando al centro il grande dossale dell’altare maggiore in pietra mischia e marmi, formato, sopra basamenti ad alti stilobati con mensa e tabernacolo marmoreo, da coppie di colonne composite fiancheggianti il grande riquadro centrale di una tela di Crocifissione e sostenenti una trabeazione sormontata da frammenti di timpano ricurvi. Altresì gli altri otto altari in pietra aggettanti dalle pareti laterali, più grandi i due sulle testate del transetto e più contenuti i sei nelle navate, tre per parte, alcuni più semplici perché ancora seicenteschi ed altri settecenteschi più mossi e con forme neo-borrominiane, si disegnano in dossali a colonne corinzie, alcuni terminanti in edicole fra timpani spezzati, inquadranti incorniciature per tele a svariati soggetti devozionali.
Copyright ©Mons. Orlando Antonini